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 20-03-2009 [Italia]
Medici e clandestinità

Hanno destato non poco stupore, non solo tra i giuristi e gli operatori sanitari, le affermazioni del Ministro dell’Interno On. Roberto Maroni, in ordine all’interpretazione dallo stesso addotta della norma contenuta nel disegno di legge sul cosiddetto “pacchetto di sicurezza”, che abroga il divieto per i medici di denunziare all’Autorità giudiziaria la condizione di “clandestinità” degli immigrati, che dovessero richiedere assistenza.
A dire del Ministro - principale ispiratore della citata norma nella compagine governativa - i medici e gli operatori sanitari, anche quelli addetti alle strutture pubbliche, non avrebbero alcun obbligo di denunziare lo “stato di clandestinità” dell’immigrato, ma solo la facoltà di effettuare la segnalazione agli organi competenti.
Siffatto modo di porsi tradisce con evidenza la difficoltà di giustificare la previsione normativa in parola, di fronte alle stringenti obiezioni che da più parti sono state sollevate, e rende – vieppiù – priva di senso logico la disposizione in parola.
Ci si dovrebbe chiedere – infatti – per quale ragione la maggioranza parlamentare avrebbe avvertito la necessità, pur tra mille polemiche, di approvare al Senato una disposizione che possa solo facultare e non obbligare i medici a denunziare l’immigrato clandestino.
Di certo, la necessità o la ratio della norma in parola non potrebbe essere individuata nell’esigenza di consentire a medici e a operatori sanitari - repressi (….sic!) dalla disposizione che sinora ha vietato loro di denunziare l’irregolare permanenza dell’immigrato nel territorio italiano – di poter compiere liberamente la loro delazione, perché così opinando si sfiorerebbe il ridicolo.
Tanto, a maggior ragione se si tiene in debito conto che la salute pubblica potrebbe essere gravemente minacciata dalla comprensibile riottosità che gli immigrati avrebbero – se fosse definitivamente approvata la norma in questione nel testo vigente – a farsi curare da adeguate strutture sanitarie, per il timore di essere denunziati.
Il Ministro poggia probabilmente la sua affermazione sul rilievo che l’art.365 secondo comma del codice penale non obbliga i medici e gli operatori sanitari a segnalare con referto la commissione di reati (più propriamente la norma si riferisce ai delitti), quando il paziente – per effetto della segnalazione - sarebbe sottoposto a procedimento penale.
Vi è però da evidenziare che allorché il medico o l’operatore sanitario dovesse avere contezza di un reato, svincolato da quanto emerge dall’esame clinico del paziente, come accadrebbe per il reato contravvenzionale previsto dall’art.21 del d.d.l. “di ingresso e soggiorno illegale nel territorio italiano”, non verrebbe in considerazione l’art.365 c.p. ma la previsione degli artt.361 e/o 362 cod. pen., che prescrivono l’obbligo, rispettivamente per i pubblici ufficiali e per gli incaricati di pubblici servizi, di segnalare – sempre e comunque – all’Autorità giudiziaria i reati dei quali dovessero avere contezza.
Le due norme in questione – gli artt.361 e 362 c.p. appunto – non prevedono, infatti, l’esimente del secondo comma dell’art.365 c.p. che esclude l’obbligo di referto, quando la persona assistita sarebbe esposto a procedimento penale in caso di segnalazione del reato all’Autorità giudiziaria.
Applicando – quindi – ai medici, in particolare a quelli addetti a strutture pubbliche, la previsione degli artt.361 e/o 362 c.p. questi sarebbero sempre e comunque, in quanto pubblici ufficiali o quanto meno incaricati di pubblico servizio, obbligati a denunziare gli immigrati che dovessero appalesare il loro stato di irregolare permanenza nel territorio dello Stato.
Ne consegue che l’interpretazione quasi “pentitistica” del Ministro non può certo rassicurare né gli immigrati né i medici e gli operatori sanitari, che - a mio sommesso avviso – sarebbero comunque tenuti, ove la Camera dovesse confermare il testo normativo già licenziato dal Senato, a denunziare all’Autorità giudiziaria l’immigrato che essi assistono, ove avessero contezza del suo stato di clandestinità.
Vi è – poi – da chiedersi: l’apparente favore che oggi si può riscontrare nei confronti della tesi fatta propria dal Ministro, in relazione alla quale sarebbe possibile che i medici si astengano dalla denunzia di immigrati in stato di clandestinità, come si tramuterebbe allorchè lo straniero in siffatta condizione dovesse commettere, dopo essersi fatto curare in ospedale, un reato di grave allarme sociale?
Che cosa si direbbe in tal caso del medico e degli operatori sanitari che, pur avendo rilevato siffatta condizione, non l’avessero segnalata all’Autorità giudiziaria?
Non è sufficiente – infatti – che un Ministro della Repubblica espliciti la sua personale interpretazione di una norma, perché i destinatari della stessa possano essere rassicurati sulla legittimità o meno dei loro comportamenti.
Le norme devono essere sempre interpretate dai giudici e non da esponenti politici, per quanto autorevoli essi possano essere.
E’ assolutamente necessario – quindi – che la disposizione in parola, già approvata al Senato e ora in discussione alla Camera, sia ampiamente rivisitata e se non si riterrà opportuna la sua cancellazione, come imporrebbe la tradizione italiana di civiltà giuridica e di accoglienza, la norma dovrebbe quanto meno chiarire expressis verbis che i medici non avranno alcun obbligo, ma solo la facoltà di segnalare il reato di irregolare soggiorno nel territorio italiano.


Domenico Insanguine

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